A Tavernerio, piccolo paese alle porte di Como, il giorno dell’8 novembre 1951 è ricordato ancor oggi con profondo dolore. Al terzo giorno di intense precipitazioni, il torrente Cosia esondò improvvisamente e violentemente, portando nel centro del borgo distruzione e morte. Poiché oggi ricorre il settantesimo anniversario dell’alluvione del Cosia, vorremmo con questo intervento mantenere vivo il ricordo delle vittime e stimolare una riflessione sulla ciclicità di questi eventi, che segnano l’evoluzione di gran parte del nostro territorio, rappresentando una minaccia sempre presente.
La frana
Le intense precipitazioni dell’autunno del 1951 causarono una lunga serie di eventi avversi su tutto il Nord Italia (VIDEO), il più tristemente conosciuto dei quali è l’alluvione del Polesine del 14 novembre, che costò la vita a 101 persone. A Tavernerio, giovedì 8 novembre, i depositi di terreno superficiale poco a est dell’abitato iniziarono a scivolare e diedero origine a un movimento franoso che portò verso l’alveo del Cosia circa 48.000 metri cubi di materiale. La frana interessò soltanto i primi metri di suolo, fortemente appesantiti e lubrificati dalla grande quantità di acqua contenuta, senza coinvolgere le rocce calcaree sottostanti; la presenza di una cava di pietre a pochi metri di distanza contribuì probabilmente ad indebolire ulteriormente il terreno.
Ad ogni modo, il materiale scivolò rapidamente verso valle attorno alle ore 18.00, portando con sé due cascine (cascina Poè e cascina Bus) e quattro vite umane. Gli abitanti della cascina Poè riuscirono ad avvertire il pericolo e mettersi in salvo, con l’eccezione del signor Enrico Gatti, che non fece in tempo a lasciare l’edificio e fu travolto dalla frana; più in basso, la cascina Bus fu travolta senza alcun avvertimento, causando la morte dei tre membri della famiglia Ronchetti che erano nell’edificio in quel momento. La frana distrusse anche il serbatoio dell’acquedotto posto nei pressi della cascina Poè, determinando l’isolamento idrico del paese nei giorni successivi all’alluvione.
L’alluvione del Cosia
Il Cosia è un torrente di 16 km che nasce sul monte Bollettone e sfocia nei pressi del Tempio Voltiano di Como dopo aver attraversato i comuni di Albese con Cassano e Tavernerio. Poco prima di raggiungere il centro di Tavernerio, il percorso del torrente si snoda in una valle dai versanti ripidi e stretti, che risultò un fattore decisivo per il disastro dell’8 novembre 1951. Il materiale franato, raggiunto l’alveo del Cosia, si depositò a formare una diga di diversi metri di altezza che ostruì completamente il flusso dell’acqua. Il torrente, già ingrossato dalle forti precipitazioni, formò così nel giro di pochi minuti un invaso; la pressione dell’acqua aumentò rapidamente sulla barriera, fino a farla cedere attorno alle 18.20. Nel giro di pochi secondi l’ondata di acqua, fango e detriti che fu generata dal cedimento della diga travolse il centro di Tavernerio, distruggendo o danneggiando pesantemente cinque abitazioni poste a ridosso del torrente e mietendo dieci vittime. L’ondata sbatté infine contro un ponte recentemente rinforzato e ancora oggi esistente, che riuscì a mitigare fortemente l’impeto dei flutti, ma che al contempo determinò la deposizione di oltre un metro di fango per le vie del centro.
Gli abitanti al momento del disastro
La frana che determinò dopo pochi minuti l’esondazione del Cosia generò un boato a poche centinaia di metri da Tavernerio; gli abitanti non riuscirono tuttavia a percepire l’avvenimento, in quanto il suono fu coperto dal rumore della forte pioggia che si stava abbattendo in quelle ore sul paese e dallo scrosciare del torrente. Un segnale premonitore che fu colto da alcuni taverneriesi fu la quasi totale assenza di acqua nell’alveo del torrente Cosia e il conseguente improvviso silenzio, a cui però sfortunatamente non fu data importanza. Riportiamo a questo proposito la testimonianza del signor Angelo Casartelli, raccolta nella pubblicazione “Quelli che non ritorneranno” a cura dell’Amministrazione Comunale di Tavernerio:
Mia moglie, Mirella Gatti, allora era una ragazzina, lavorava presso la tessitura Bagliacca. Quella sera con altre tre o quattro compagne di lavoro era appena uscita dallo stabilimento. Poiché pioveva a dirotto, non si erano fermate, come spesso facevano, alla Pesa a chiacchierare. Così alle 18.15 passavano il ponte per tornare a casa e notavano che nel torrente c’era poca acqua, ma non ci fecero caso al momento. Appena arrivata a casa in via Roma Mirella fu raggiunta dalla notizia della disgrazia. Una delle amiche si chiamava Mariuccia e stava salendo alla cascina del Poè, dove abitava. Non fece in tempo ad arrivare a casa perché la cascina era appena franata. Così si salvò.
Come ben si comprende dalle parole del signor Casartelli, la disgrazia avvenne in un momento della giornata per certi versi favorevole. Alle 18.20, i taverneriesi che lavoravano a Como stavano ancora rincasando sul tram della linea Como – Lecco, che sarebbe giunto in paese soltanto dieci minuti dopo; inoltre, alle 18 era avvenuto il cambio del turno della tessitura Bagliacca, che impiegava numerosi locali, così che i lavoratori del turno serale erano già in azienda e quelli del turno pomeridiano non erano ancora rientrati nelle loro case. Se l’ondata avesse investito il paese soltanto una ventina di minuti dopo, le case distrutte avrebbero ospitato al loro interno molte più persone e il bilancio della tragedia sarebbe stato ben più grave.
Le vittime
L’8 novembre 1951 perirono a Tavernerio, a causa dell’alluvione del Cosia, 16 persone:
– Enrico Gatti (65 anni). Il signor Gatti, forse per la sua anzianità, fu l’unico abitante della cascina Poè che non riuscì a mettersi in salvo prima che l’edificio venisse distrutto dalla frana;
– Mario Ronchetti (60 anni), Angelina Bicego (45 anni) e Felice Ronchetti (13 anni). I tre famigliari si trovavano in quel momento nella cascina Bus, che fu rapidamente travolta dal movimento franoso. Secondo la testimonianza del signor Angelo Casartelli, che partecipò agli scavi, le loro salme furono ritrovate 37 giorni dopo l’alluvione;
– Pierina Adele Guanziroli (60 anni), Delfina Gatti (36 anni), Remo Gatti (36 anni), Walter Casartelli (2 anni), Ermanno Guanziroli (28 anni). Tre dei quattro componenti della famiglia Gatti perirono nella loro abitazione, posta sulla sinistra idrografica del Cosia e completamente distrutta dall’ondata. La signora Guanziroli fu portata via dalla corrente mentre attraversava il ponte in legno per raggiungere la figlia Delfina e fu ritrovata nel lago di Como. La signora Delfina Gatti era in attesa del secondo figlio, che sarebbe nato di lì a poco. Il signor Ermanno Guanziroli, cugino di Delfina, non abitava in casa Gatti, ma si era trovava lì per prendere il latte quando la casa fu travolta;
– Mario Casartelli (49 anni), Plinia Turcati Casartelli (42 anni), Maria Amalia Casartelli (3 anni). I coniugi Casartelli con la loro figlia morirono nella loro abitazione, posta in destra idrografica;
– Angela Lorenzi (75 anni). L’anziana signora Lorenzi fu sepolta sotto le macerie della sua abitazione;
– Lucia Sertori (39 anni), Giulio Meroni (4 anni), Pierantonio Meroni (7 anni). La madre Lucia si trovava nella sua abitazione quando essa fu travolta dal torrente. I corpi dei piccoli Giulio e Pierantonio non furono mai ritrovati. La sorella Maria Graziella, di 9 anni, finì in acqua, ma fu fortunosamente spinta fuori dalla corrente e poi salvata dal signor Edoardo Gatti, marito della signora Pierina Adele Guanziroli. Il signor Gatti ebbe la prontezza di spirito di prendere per un braccio la bambina e trarla in salvo prima di mettersi alla sfortunata ricerca dei suoi famigliari.
“Fiumiciattolo ridicolo” o “gigante imbestialito”?
Nei giorni seguenti all’alluvione, il torrente Cosia si ritaglia uno spazio di prim’ordine sui principali quotidiani locali e nazionali. “La Provincia” descrive così il Cosia nelle edizioni del 9 e 10 novembre 1951:
E, quasi ironica, o meglio sarcastica, nella sua crudeltà [la natura] ha affidato lo strumento di morte ad un torrente insignificante, ritenuto innocuo. […] Questa volta è toccato al Cosia, quel corso che attraversa la città e che siamo abituati a considerare alla stregua di un ruscello, a parlarne in senso spregiativo. […] Solo il Cosia è vivo in questa scena. È vivo e rumoroso, quasi a cantare la sua vittoria contro l’uomo e le sue costruzioni. Sembra darsi importanza con lo scrosciare dei suoi sbalzi, questo fiumiciattolo che, se non avesse mietuto tante vittime, chiameremmo ridicolo. Scorre rumoroso tingendosi di giallo al fango della frana. E canta vittoria, lambendo i muri sbrecciati delle case, premendo contro gli argini. Canta vittoria perché la sua opera di distruzione è ormai compiuta.
Totalmente priva di riferimenti al carattere tranquillo e pacifico del Cosia è invece la descrizione fornita da “Il Corriere della Sera” del 10 novembre 1951:
L’itinerario di rovina e di morte del torrente Cosia […] fu come il cammino di un gigante imbestialito che scendesse a grandi passi: e a ogni passo sangue e distruzione segnavano l’orma mostruosa.
I due quotidiani ritraggono perfettamente le due facce del Cosia: da una parte un ridicolo fiumiciattolo, dall’altra un gigante imbestialito, strumento di morte e distruzione. In effetti, anche se una descrizione pare escludere categoricamente l’altra, il Cosia corrisponde ad entrambe, poiché quello che un giorno appare come un tranquillo corso d’acqua, il giorno successivo può trasformarsi in ondata devastante. Questo dualismo è in realtà valido per moltissimi torrenti che sfociano nel Lago di Como per via di due fattori: da un lato la forte ripidità di quasi tutte le valli che immettono nel lago; dall’altro la frequenza con cui intense precipitazioni colpiscono il nostro territorio.
Il pluviometro di Como raccolse in data 8 novembre 1951 ben 120 mm di pioggia, accumulo sicuramente importante, ma che nella zona lariana si verifica piuttosto frequentemente. In presenza di versanti ripidi, l’acqua discende rapidamente fino al fondovalle, ingrossando enormemente il corso d’acqua lì presente e mettendo in pericolo ogni attività umana che si sia stabilita troppo a ridosso del torrente. Per queste ragioni, oggi esacerbate dai cambiamenti climatici che tendono ad amplificare queste dinamiche, il territorio lariano è costantemente a rischio di alluvioni ed esondazioni che, come nel caso dell’evento di Tavernerio, possono avere anche conseguenze tragiche. Con l’abbandono delle valli e la cementificazione del suolo, i fattori di rischio sono notevolmente aumentati nel corso degli ultimi decenni; per questo sono necessarie importanti azioni di riduzione del rischio derivante dal dissesto idrogeologico, in primo luogo rispettando le fasce di rispetto dei corsi d’acqua imposte dalla legge.
“Quelli che non ritorneranno”
Gran parte delle informazioni contenute nel presente intervento a proposito dell’alluvione del Cosia sono tratte dal volume “Quelli che non ritorneranno”, pubblicato dall’Amministrazione Comunale di Tavernerio in occasione del 50° anniversario del disastro. La pubblicazione raccoglie numerosi articoli di giornale dei giorni seguenti l’esondazione, diverse testimonianze dirette e documenti ufficiali, nonché un approfondimento geologico della frana a cura di Paolo dal Negro e Giacomo Tettamanti. Le foto d’epoca presenti nell’articolo sono tratte dal sito del Comune di Tavernerio, che ha raccolto molte testimonianze fotografiche dell’evento a questo link.