Tra i comuni di Canzo (CO) e Valmadrera (LC) esiste un luogo, come sospeso nel tempo, chiamato “Sasso Malascarpa”. Un rilievo roccioso, situato tra i Corni di Canzo e il Monte Cornizzolo, che potrebbe essere una delle zone di maggiore interesse geologico, geomorfologico e paleontologico della Lombardia.
Nel 1985 la Regione Lombardia dichiarò “Riserva Naturale parziale geomorfologica e paesistica” (Riserva Naturale Sasso Malascarpa) il territorio di 196 ettari e ne affidò la gestione all’Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste (ERSAF).
L’area del Sasso Malascarpa è caratterizzata da rocce sedimentarie carbonatiche che si sono formate durante una lenta ed incessante stratificazione e trasformazione dei bassi fondali marini triassici in ambienti lagunari e marini nell’Era Mesozoica. Tutta la nostra zona del Triangolo lariano, un tempo oceano, era popolata da una notevole varietà di molluschi, coralli e pesci.
Il Sasso Malascarpa viene solitamente identificato con un muro massiccio calcareo in cui sono facilmente visibili i fossili dei Conchodon (vedi foto), molluschi bivalvi del Triassico superiore, che sembrano avere la forma di un cuore.
Proprio questa forma particolare un tempo veniva interpretata come impronte degli zoccoli del diavolo o di quelli dei cavalli delle streghe che, secondo le dicerie popolari, usavano lanciarsi in diaboliche cavalcate su queste impervie pareti. L’aspetto stesso del Sasso, simile ad una muraglia, avrebbe infatti suggerito l’intervento di qualche forza oscura per la sua costruzione. Sempre in relazione del nome potrebbe esserci la storpiatura del longobardo “masca” ossia strega. Un’altra teoria è che il nome derivi dalla “mascherpa”, una ricotta che si produceva dalla tradizionale attività d’alpe.
In questi giorni abbiamo già parlato dell’effetto del carsismo nella zona del Buco del Piombo, ma la bellezza di questo luogo sono i campi solcati e le rocce stratificate, i quali si formano grazie all’acqua piovana resa aggressiva dall’anidride carbonica in essa disciolta. Quest’azione, molto lenta, permette un’erosione della roccia calcarea creando dei caratteristici blocchi con fratture orizzontali e verticali perpendicolari, ai lati delle quali, in presenza di una lieve pendenza, si formano dei solchi paralleli che vengono chiamati “campi solcati” o “campi carreggiati”, perché il loro aspetto ricorda quello delle impronte lasciate sul terreno dalle ruote di un carro.
Sia dal punto di vista faunistico che da quello botanico, questo luogo ameno ospita delle specie endemiche di notevole interesse. A livello floreale possiamo incontrare la campanula dell’arciduca, l’aglio insubrico e il raponzolo chiomoso; mentre per la fauna potremmo citare solo alcuni delle 60 specie trovate durante un censimento avifaunistico: il succiacapre, il gufo reale e il nibbio bruno.