In Brianza fin dal XVIII secolo si affermò l’allevamento del baco da seta. Quest’attività era tanto delicata che la devozione popolare creò una connessione tra San Giobbe e la bachicoltura per proteggere i fragili vermetti.
La bachicoltura
Nei borghi e nelle cascine del Comasco e del Lecchese l’attività della bachicoltura si diffuse molto velocemente, perché l’allevamento del baco da seta era un’ottima entrata per tutte le famiglie contadine che potevano contare su un secondo lavoro, anche se con molte incognite.
I bachi da seta si nutrono solo di foglie di gelso e questi alberi venivano piantati attorno a tutti i campi coltivati, come una sorta di confine, ma servivano solo ed esclusivamente al nutrimento dei piccoli bachi. Il lavoro era davvero impegnativo e spesso se ne occupavano le donne di casa, ma le entrate derivate dalle vendite dei bozzoli erano sostanziose, così da ripagare la grande fatica. I piccoli vermi sono molto fragili, necessitano di costante caldo, possono essere predati da diversi insetti e hanno bisogno di essere costantemente nutriti con foglie di gelso. I bozzoli erano venduti alle filande e dopo vari processi di lavorazione (trattura, incannatura e torcitura) il filo di seta ottenuto veniva avvolto sulle rocche o bobine.
Superstizioni e riti sacri
Per salvaguardare la nascita e lo sviluppo dei bachi da seta, animali molto delicati, molti erano i costumi e le tradizioni che venivano richiamate, da quelle più semplici che prevedevano la presenza di stampe di crocifissi, madonne e santi a protezione dei bachi, a quelle più complesse, che sfociarono in una vera e propria ritualità legata a San Giobbe.
Una filastrocca che racchiude le tempistiche della crescita dei bachi da seta è la seguente:
“ A San Zen se met la sumensa in sen
A San Giorg se met la sumensa al cold
Se i cavalee in ben metüü
A Santa Crus han de vess nasüü”
A San Zeno (12 aprile) si mettono le uova dei bachi in seno, a San Giorgio (23 aprile) si mettono le uova al caldo, se i bachi sono messi bene, a Santa Croce (3 maggio) devono essere nati.
In un decalogo, pubblicato a Brescia nel 1564, contenuto nel “Avertimenti di Levantio Mantoano Guidiciolo: bellissimi, et molto utili, a chi di diletta di alleuare, et nudrire quei cari animaletti che fanno la seta” il punto numero sei recita:
“è sempre onesto tenere sui palchi del barichèl un ramoscello d’ulivo benedetto o la corona del rosario e un lumicino acceso davanti all’immagine di San Giobbe protettore dei bachi”
San Giobbe patrono degli allevatori dei bachi da seta
Secondo gli studi condotti dal prof. Claudio Zanier, questa relazione tra San Giobbe e la bachicoltura nasce dalla rilettura dei racconti biblici in età medioevale che si diffuse nel mondo arabo, in quello greco e, da Venezia, anche in Italia. Nei racconti e nel detto popolare viene sottolineata sempre la perseveranza, la pazienza di Giobbe nonostante tutte le disgrazie che dovette affrontare, mentre nell’iconografia medievale è rappresentata la presenza delle piaghe sul suo corpo e dalle quali nascevano vermi. Questi ultimi furono identificati dai contadini come i bachi da seta da loro allevati. Fu in questo modo che la devozione rese San Giobbe il protettore della bachicoltura.
Nella zona del Lecchese ci sono alcune rappresentazioni del Santo e rituali a essi collegati che ben rappresentano la devozione della popolazione contadina di un tempo.
A Figina, località di Galbiate (LC), sulla rampa di una scala, c’è la rappresentazione di San Giobbe seduto sotto al gelso fiorito di bozzoli, di fronte alla Madonna.
Il Cardinal Schuster scriveva a riguardo del collegamento tra San Giobbe e la bachicoltura:
“In maggio, il giorno della festa del Santo Giobbe, i devoti vi confluiscono anche dai paesi circostanti, onde implorare la benedizione del Santo sulla imminente coltura dei bachi. È curioso come la devozione del popolo abbia trovato un qualsiasi nesso tra il grande Paziente di Hus, ed i preziosi bachi che si seppelliscono nei loro serici bozzoli. Ma che cosa non può il genio popolare? Giobbe, come attesta la Santa Scrittura, era ricoperto di vermi. Ebbene, sia egli il protettore dei bachi, i quali rientrano precisamente nel genere dei vermi. Il salto è… ardito, ma alla fede popolare è facile”
Anche se in questo scritto il Cardinale si riferiva al mausoleo dei Duchi Visconti di Vimodrone, sempre a Galbiate, tra le frazioni di Bartesate e Figina, si scorge in mezzo al bosco la chiesetta dedicata alla Madonna del Carmine e a San Giobbe dove avveniva la stessa tradizionale processione e festa.
L’edificio fu costruito nel 1887, a sostituzione di una vecchia cappella dedicata ai morti di peste del 1655, e fino ai primi anni ’40 del scorso secolo il 10 maggio la popolazione dei paesi vicini accorreva per la festa di San Giobbe. Nell’occasione, si faceva benedire la carta da porre sopra ai graticci dove venivano allevati i bachi da seta o si portava a casa un flaconcino dell’acqua benedetta del torrente Valle Grossa, nei pressi della chiesetta, per spruzzarla sulle tavole dei bachi e tenere così lontane le formiche, uno dei tanti nemici dei piccoli bachi.
A termine della cerimonia le famiglie festeggiavano banchettando sull’erba circostante la chiesa, senza dimenticarsi di recitare un “Gloria a Sa’ Jop e Sa’ Roch” davanti al dipinto di Casimiro Radice che rappresenta la Madonna del Carmine con il Bambino, San Giobbe, San Rocco e le anime del purgatorio.
Vi preghiamo di segnalarci altre realtà nella zona del Comasco e del Lecchese che testimoniano un forte legame tra San Giobbe e la bachicoltura.
Informazioni selezionate dal libro “Percorsi fra natura, arte e storia – itinerario culturale della badia di Figina verso Galbiate e il Monte Barro” di Panzeri Giuseppe.